Comunicato in solidarietà all’Anzacresa

In un tessuto urbano come quello potentino, l’Anzacresa è una fonte di alterità nel grigiore del contesto che la circonda, essendo riuscito a portare anche in una città ostile e alienante, pratiche e forme organizzitave che si svincolano dalle logiche della mercificazione e da rapporti autoritari, facendo proprie l’idea dell’autogestione e dell’autorganizzazione.

Non ci meraviglia che il comune abbia deciso l’immediato sgombero di un luogo strappato alla geografia del Potere, cercando di annichilire qualunque tentativo di rompere con la miseria esistenziale che caratterizza il contesto lucano, normalizzando e svuotando uno spazio che è divenuto punto d’incontro basato sull’eterogeneità e sulla creazione di momenti liberi dal Capitale.

Esprimiamo la nostra piena solidarietà e vicinanza al CSOA Ex Coni “Anzacresa; non un centimetro di spazio al Potere, per l’autogestione, per la creazione di forme di vita radicali!

Contro il fascismo, contro ogni autorità!

“Il fascismo è una cancrena sociale e morale che nell’ultimo periodo sta sempre più appestando i nostri territori. Mentre assistiamo all’uso  strumentale di tristi eventi accaduti in Basilicata, per propagare odio  e rivendicare una cultura reazionaria, l’eco della loro retorica si fa spazio anche nella popolazione con episodi che hanno come obiettivo il colpire l’ultim* e l’emarginat*. I gruppuscoli protagonisti di certe manifestazioni, cercano sempre più d’inserirsi in diversi contesti per riuscire a strappare del consenso: nelle lotte alla devastazione ambientale, negli ambienti studenteschi, fino a giornate caratterizzate da rituali tramite i quali cercano di far diventare martiri, loschi
individui come gerarchi, assassini e militanti di destra. La loro guerra volta tutta sul piano retorico, appropriandosi di un gergo a tratti rivoluzionario, ha il fine di incoraggiare quella lotta tra poveri in nome di una chiamata alla “trincea” (andando a ricalcare l’uso di un linguaggio stile ventennio) per la difesa della propria comunità. Dall’altro lato la sinistra istituzionale e non, continua a promuovere la pacificazione sociale; voltando le spalle a tutto ciò e seguendo il dogma della libertà d’espressione e d’opinione illimitata, lasciandogli ampi margini d’azione. Inoltre, è proprio essa che mette in pratica ciò che per i fasci rimane mera ideologia, creando lager, ghetti, sfruttando a ritmi sfrenati lavoratori migranti e non e militarizzando i territori. Nell’intimo valzer tra queste forze, dove l’una si mescola con l’altra, spinte da un amplesso ideologico, cade la loro maschera fatta di (in)umanità, lasciando intravedere il ghigno della morte. Infatti mentre si continua a prorogare l’idea di una lotta all’ultimo sangue tra i più poveri, quella che ne trae vantaggio è la sola classe dominante, che spalanca le porte a multinazionali, turisti e consumatori di suolo, spingendo sempre più fette della popolazione locale ad abbandonare  i luoghi dove vivono o a dover stravolgere la propria vita quotidiana a causa della devastazione ambientale e della gentrificazione che sta seguendo alla “rivalorizzazione” della Basilicata come territorio da sfruttare.Guardandoci attorno non notiamo altro che miseria, morte e sopraffazione, dove ognuno recita a memoria il ruolo impostogli/le dall’alto, accennando al massimo un timido rivendicazionismo riformista e seguendo tali gruppetti. I soggetti che li formano e che oggi si ergono ad alternativa al potere istituzionale, sono gli stessi che hanno affiancato i diversi partiti di turno e che hanno posto le fondamenta sulle quali si basa la situazione che viviamo giorno dopo giorno. Bisognerebbe quindi, ripartire dalle nostre esistenze per rompere con lo schifo che ci attanaglia, nella perpetua creazione di linguaggi, spazi, utopie ed immaginari, facendo propri metodi di attacco contro qualunque individuo e gruppuscolo guidato solo dalla propria fame di potere e da logiche egemoniche, con il fine di non cambiare solo bandiera alla classe dirigente o averne una di natura autoctona, ma di distruggere il Potere.

Contro il fascismo, contro ogni forma di potere; per l’autogestione delle nostre vite e la liberazione totale!

Potenza Hardcore Festival

La scelta di auto-organizzare un fest hardcore in Basilicata, nasce dall’esigenza di affermare anche nei nostri territori una presenza, un modello di organizzazione spontanea e non verticistica e un’etica differente, non reintegrabile nelle logiche della mercificazione e del dominio imperante anche nell’ambito musicale.

Dopo qualche anno ci siamo riusciti, anche se non è detta l’ultima parola. Tale fest per noi rappresenta un modo altro di rapportarsi alla quotidianità e ai nostri spazi, riappropriandocene dal basso e portando con la forma-musica contenuti conflittuali e di sovversione delle dinamiche dominanti.

L’esser riusciti con l’aiuto di divers* amic* e persone a noi affini a tirar su questa giornata vuol dire molto, e proseguiremo nella sua organizzazione con l’auspicio che possa essere solo l’inizio di un lungo percorso teso a costruire relazioni e una comunità che condivide nella propria eterogeneità le medesime prospettive.

La giornata sarà arricchita da assemblee, distro, cena vegan con cibo locale autoprodotto, scale (per gli stage diving e ladder match stile WWE più ignoranti), piscina, super liquidator,materassini,animali gonfiabili,sputafuoco e spazio camping nel bel mezzo della campagna e degli ulivi lucani.
Birra a volontà all grain dai punx per i punx, alcolici DIY e sangriapunx.

-Dalle 17
Assemblea sulla situazione in Basilicata e sul contributo che abbiamo apportato fino ad oggi:

-segue cena vegan,a breve il menù

-Dalle 20 in poi si esibiranno per i nostri palati da pastori:

– Loscos’ Brigade (Trash Core from Salento)
https://loscosbrigade.bandcamp.com/releases

– XMysseriX (rumore e innocenza di Michele misseri da Taranto) :
https://xmysserixgrindx.bandcamp.com/

– Gli Altri (Post-hc e urla da Savona):
https://glialtri.bandcamp.com/

– Afasia (Messina HC senza fronzili) :
https://www.youtube.com/watch?v=pLqweuFxa1I&t=427s

– Mashed Potato (nuovissime leve Taranto HC):
https://www.youtube.com/watch?v=pLqweuFxa1I&t=427s

– Shameless (senza vergogna Cosenza HC):
https://shamelesshc.bandcamp.com/

– La Macabra Moka (alt-rock post rock e tupatupa da Cuneo):
https://lamacabramoka.bandcamp.com/

– Parzialmente Skremati (Punk’n frutta fresca e casini contro la capitale della cul-tura da Matera):
https://parzialmenteskremati.bandcamp.com/releases

– Shilli & Nobridge (Rap hc testi pesi da Messina):
https://akamu.bandcamp.com/

– A seguire Idiot Game – Live set – TeknoJonicResistence
https://soundcloud.com/idiot_game

…e ovviamente discotrash

Orari per niente reali. Porta il cane e porta pure la distro. Porta quello che vorresti trovare.

No fasci no amici di fasci no sbirri no macho no vetro

PER INDICAZIONI: potenzahardcore@tracciabi.li

 

 

 

§§§ PRATICHE DI RIVOLTE MUSICALI, ovvero sul perché finire un festival punk hc con della amarissima tekno music §§§

Si campiona e si rimescola psichedelia di vecchia matrice, punk, industrial, cultura del sound system, hip hop, azione dinamica e nomade sul territorio, occupazione e liberazione degli spazi, autogestione, ricerca rinnovata sugli stati alterati di coscienza, sperimentazione sonora. Da tutto questo viene fuori il free party, raduni di individualità unite nel desiderio di sfuggire all’esistente, per una manciata di ore, con la pratica dell’azione diretta e dell’autodeterminazione dei corpi e delle menti attraverso un’esagerazione dello sconvolgimento dell’ordine sociale. La musica tekno e la pratica delle feste libertarie, hanno molti elementi comuni con il punk più puro. Dalla rottura con tutto ciò che era definito convenzionale, la metrica veloce e i suoni distorti, fino ad abbracciare l’etica classica della contro cultura anarco-punk, quel DO IT YOURSELF che respinge la distribuzione musicale capitalista a vantaggio delle etichette indipendenti per un più egalitario accesso alle sonorità diffuse. Il punk è sempre stato visto come qualcosa di “marcio” rispetto al filone musicale da cui si emancipava, il rock. Negli anni ’70 questo diventava incapace di esprimere la visione del mondo delle generazioni più giovani, che rifiutano le convenzioni e ricercano l’immediatezza. Il punk è infatti veloce, caratterizzato da accordi semplici che si susseguono rapidi, è una reazione all’intellettualismo dominante, alle ingiustizie sociali, alla necessità di ritagliarsi degli spazi. Sarà da questa attitudine, anticonformista e dedita al rumore come forma di ribellione che nuove istanze di conflitto prenderanno forma. La tekno music appare sovversiva rispetto a tutto quello che c’era prima. Una traccia tradizionale ha una sua precisa ed inquadrata struttura: un inizio ed una fine ben marcati, una base ritmica di fondo che serve ad accompagnare una linea melodica in primo piano ed anche da articolazioni sintattiche che corrispondono alle strofe, ritornelli, riff…La tekno è totalmente sprovvista di questo dualismo melodia/accompagnamento, di strutture formali codificate e del concetto di inizio e fine. E’ costituita da piste sonore che si ripetono, si sovrappongono, appaiono e scompaiono liberamente. La tecnologia rappresenta il medium creativo, capacità di dare mille forme comunicative al proprio sentire. A livello ideologico e comunicativo, è centrale nella contro cultura tekno la pratica dell’autoproduzione e dello scambio, intesi come mezzi per inserire un elemento di disturbo nel music business: infettare la società e diffondere espressioni antagoniste e di dissenso! Pur non professando sempre ideali politici e spesso arrivando ad assumere la dimensione di luogo anti-politico, il movimento techno-libertario abbraccia tutte le pratiche tipiche del pensiero anarchico: nell’ autogestione degli spazi, nell’occupazione di luoghi abbandonati o proprietà private, nel sabotaggio dell’industria del divertimentificio, della grande distribuzione musicale e del diritto d’autore. Il riciclaggio assume carattere politico nel momento in cui, attraverso il campionamento, va a rompere i tetti legislativo-repressivi della proprietà del suono. Il rave è attacco al copyright. Latrocinio sonoro, distorsione e recycle. I free party demistificano e valorizzano la trasgressione e si presentano come risposta politica all’età presente, pur non scontrandosi direttamente con lo Stato lo si contesta in tutte le sue sfaccettature attraverso gioiose, sfrenate e caotiche guerriglie indirette!
DISTRUGGIAMO IL TEMPO ATTRAVERSO LO SPAZIO, IL FUTURO NON è AUSPICABILE, CI RIPRENDIAMO IL PRESENTE, QUI ED ORA!
-TJR FUCK THE SYSTEM-

Storia di un ipad che sognava la rivoluzione

 

 

Sabato 14 gennaio all’Unibas di Potenza durante lo svolgimento di un’iniziativa sul Kurdistan, vi è stata una contestazione a Speranza lì presente in veste di relatore. Tale criticità è stata fatta presente da un intervento con conseguente volantinaggio da parte dei/lle compagn* di Potenza, e successivamente da un ipad che si è librato in aria. A seguito di ciò apprendiamo che a Rionero in Vulture sono apparse alcune scritte contro il PD, ove si evidenzia la propria responsabilità politica nella morte di Alì Muse a causa della gestione securitaria e ghettizzante dei/lle migrant* presenti sul nostro territorio. A seguito di ciò è scattato l’allarme del segretario provinciale del PD di Potenza, Molinari, il quale in toni allarmistici e quasi complottistici che rasentano il delirio, si legge che i due gesti sarebbero legati tra di essi e il livello repressi… securitario andrebbe alzato contro gesti d'”intolleranza” e “inciviltà” che denigrano l'”onorabilità” dei poveri esponenti del PD. Insomma tale narrazione la conosciamo, dove vi prende piede uno scambio di ruoli atto a far diventare l’oppresso l’oppressore e viceversa. Infatti nonostante il tentativo di rinnovamento della verginità politica del PD – soprattutto locale – e le lacrime da coccodrillo della sinistra buonista fattosi scudo contro i violenti sabotaggi verso “la dialettica democratica, la libertà” et cetera, conosciamo i veri colpevoli di questo clima di rabbia che attraversa il contesto lucano. La lente attraverso cui si leggono tali eventi è quella dei media che va ricucendo sui/lle nostr* compagn* il vestito dell’antagonista, il cattivo par excellence che corrompe la purezza democratica vigente in Basilicata (al riguardo basta leggere le accuse mosse ai danni del collettivo autorganizzato del Vulture Rise Up, che sono stati definiti “squadristi del web”). Una domanda ci sorge spontanea: dov’è finito quel coro degli “indignados di Capodanno” che contestavano la scelta di fare della Basilicata un palcoscenico a cielo aperto nel quale far confluire gli interessi dei petrolieri, delle compagnie televisive e di altri imprenditori-vampiri pronti a succhiare la vita ai/lle lucan* ed espropriare i nostri luoghi delle loro risorse a danno della Terra e degli animali-non umani? Ricordiamo che il PD è il medesimo partito che vorrebbe riaprire un Cie in Basilicata dopo che fu chiuso nel 2011 e che ora grazie al piano di gestione migratoria – un mix di razzismo istituzionalizzato e xenofobia – del ministro Minniti rivedrà la luce; lo stesso partito che piagnucola con i sinistrorsi borghesi per tale gesto ma tollera – o quasi coccola – i fascisti locali. Le sue responsabilità politiche sono chiare e noi rifiutiamo il modello di Basilicata che vorrebbero calarci dall’alto, ove a pagare saremo sempre noi ultim*. Se è questo il modello di democrazia che tanto si vuole difendere, ci ritroverete sulle barricate pronti a lottare contro una politica di morte per riaffermare l’autodeterminazione delle nostre vite. Solidarietà ai/lle compagn* colpit* dalla repressione, solidarietà a chi continua a lottare! 10 100 1000 ipad contro l’autorità!

“L’anno che verrà…” e il Capodanno dell’esproprio

La grafica decisamente trash è voluta (per rispettare i canoni della qualità dello spettacolo Rai), ringraziamo (Evil)Papaleo per essersi prestato come volto della spettacolarizzazione della Basilicata

“Ah! Ah! È Capodanno! […] Bisogna che si rida! Bisogna che ci si diverta. Che tutti i volti assumano un atteggiamento di festa. Che tutte le labbra lascino sfuggire i migliori auguri. Che su tutte le facce si disegni il ghigno della gioia. È il giorno della menzogna ufficiale, dell’ipocrisia sociale, della carità farisaica. È il giorno dell’imbroglio e del falso, è il giorno dell’apparenza e del convenuto. I volti si illuminano e le case si rischiarano! E lo stomaco è nero e la casa è vuota. Tutto è apparato, tutto è apparenza, tutto è artificiale, tutto è inganno! La mano che stringe la vostra è un artiglio o una zampa. Il sorriso che vi accoglie è un ghigno o una smorfia. L’augurio che vi riceve è una bestemmia o una beffa. Nella voracità degli appetiti, è l’armistizio, è la tregua. Nell’avido scempio delle battaglie, è Capodanno.”

Così recitava uno scritto dell’anarchico Albert Libertad apparso sul giornale L’anarchie nel dicembre del 1906. Ebbene, ad un secolo ed un decennio di distanza , tale contesto fatto di rassegnazione e ipocrisia si ripete anche nella microscopica regione Basilicata. Infatti per il secondo anno la Rai porterà caritetavolmente il proprio carrozzone diroccato in Lucania: dopo Matera, ora tocca a Potenza (e già si parla di Venosa per l’anno venturo). Lo Spettacolo fa il proprio ingresso trionfante nella misera Basilicata, portando consenso e pacificazione sociale, e via di figure-vedette, di giullari di corte e lacché, pronti a divertire e a far distrarre per una serata il pubblico dalle proprie miserie quotidiane! Le istituzioni si fregano le mani e parlano di “grande scommessa”, “una sfida per il futuro della regione” mentre aprono le porte al perpetuo esproprio del territorio, posto sull’altare a mo’ di sacrificio per il grande Moloch del Capitale. A tale teatrino farà da cornice una militarizzazione senza precedenti, ove tutte le forze dell’ordine saranno disposte in funzione securitaria in un centro blindato, dove alla parata militare prenderanno parte anche tiratori scelti sui tetti come risposta al dilagare della paranoia terroristica. Insomma, più che un Capodanno si preannuncia una carnevalata ove il grottesco, il paradosso e la beffa la fanno da padrone. Al diavolo le rivolte, al diavolo i problemi quotidiani che siamo costretti ad affrontare quotidianamente, al diavolo questa dannata crisi che ci riduce a combattere per un tozzo di pane ammuffito sbranandoci gli uni con gli altri! Per una sera la magia della Rai, dissiperà quel velo di disperazione e povertà che attraversa il contesto lucano. Ebbri d’immagini e di retorica, ci si lascerà andare al sacrosanto diritto di divertirsi! Nel frattempo qualsiasi contestazione sopisce sotto i colpi dei media, dove il manganello e il fucile prendono il posto dei botti, alternandosi ai visi artificiali dei personaggi televisivi. Così il Capitale allarga i propri schifosi tentacoli sulla preda-Basilicata, depredandola, soffocandola e uccidendola nella sua morsa mortale. Appaiono sempre più lontane le lotte contro la morte istituzionalizzata perpetuata attraverso inceneritori, discariche, trivellazioni, disboscamenti, quartieri-ghetto circondati da zone industriali o costruite con l’amianto. La Lucania ormai è divenuta un palcoscenico a cielo aperto, ove attoruncoli in giacca e cravatta si alternano nel loro gioco di opportunismo, esproprio ed arricchimento ai danni degli/lle ultim*. Una vetrina da mettere a nuovo, un luogo da riscoprire e dove prenderà il via il riscatto di tutto il Mezzogiorno, ecco la concezione di Basilicata che hanno i benevoli investitori pregni d’umanitarismo pronti a prendersi la propria fetta della succosa novità messa sul banco dall’alto. Nel mentre una visione pericolosamente identarista e campanilista si fa largo nella retorica istituzionale, riprendendo quello stesso linguaggio tanto caro ai fasci autoctoni con i quali ahinoi dividiamo (ancora) la stessa aria, e già quatta quatta la Shell ne approfitta per richiedere altre concessioni petrolifere. Quindi car* cittadin* stasera riempitevi il fegato di alcool, abbuffatevi al banchetto della miseria umana, finché sarete in tempo, perché domani una volta che la farsa sarà finita e il sipario sarà abbassato non rimarrà che il volto sghignazzante della morte.

“Facciamo un Capodanno in cui non si faranno voti e auguri bugiardi, ma in cui, al contrario, si getterà il proprio pensiero in faccia a tutti. In questo giorno, gli uomini comprenderanno che non è possibile vivere in una simile atmosfera di conflitto e di rivalità. Cercheranno di vivere in un altro modo. Vorranno conoscere le idee, le cose e gli uomini che impediscono loro di essere più felici.
La Proprietà, la Patria, gli Dei, l’Onore rischieranno di essere scaraventati nella fogna assieme a coloro che vivono di questi fetori.
E sarà universale questo augurio che sembra così minaccioso e che eppure è traboccante di dolcezza:
che crepi il vecchio mondo!

Note: circa il contesto lucano e le dinamiche che lo riguardano ne abbiamo già parlato in un volantino che potrete trovare qui.

USA: volantino per lo sciopero carcerario nazionale contro la schiavitù carceraria

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“Noi non siamo bestie e non abbiamo intenzione di essere pestati o trattati come tali … Ciò che è accaduto qui non è che il suono prima della furia di coloro che sono oppressi”
– L.D Barkley, partecipante alla ribellione di Attica

Il 9 settembre 1971, i detenuti del Carcere di Attica nello stato di New York, presero il controllo della prigione. La ribellione di Attica, che durò per cinque giorni, non è stata la prima e né certamente l’ultima rivolta carceraria. E tuttavia la sua importanza è indelebile nella storia della lotta contro la supremazia bianca e la società carceraria nella quale abitiamo tutt’oggi.
In quarant’anni da Attica, le prigioni sono cresciute fino all’esplodere con le tragedie di vite distrutte, famiglie spezzate, e comunità distrutte. Nelle ultime decadi, i movimenti di resistenza sono costantemente cresciuti dietro i muri delle prigioni. Dal blocco lavorativo a livello statale nelle prigioni della Georgia nel 2010 allo sciopero della fame che si è diffuso attraverso il sistema carcerario della California nel 2013; dai fuochi accesi nei CIE in Texas alle sommosse e alle prese delle prigioni in Nebraska e in Alabama, i prigionieri in tutto il Paese sono ampiamente svegli e in movimento.
Questo settembre, i detenuti, le loro famiglie, e sostenitori all’esterno stanno coordinando uno sciopero carcerario nazionale che prenderà piede nel 45° anniversario della rivolta di Attica. Questo sforzo storico ha in sé il potenziale per espandere e incoraggiare il movimento contro le orrende condizioni di reclusione, le stesse prigioni e la società che le crea.

Verso la distruzione di tutte le prigioni e la creazione di una comunità umana libera e genuina!

Perché c’è bisogno di distruggere le carceri fino all’ultimo mattone

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Le carceri vanno abbattute. Sede della repressione al suo massimo livello e in quanto tale, privazione della libertà per eccellenza, le carceri e tutte le gabbie sono le nostre prime nemiche in ragion d’essere.
Il 41 bis é il regime di massima sicurezza, dove i detenuti si trovano in isolamento, privati della lettura. Venne istituito per far sì che i detenuti condannati per associazione di stampo mafioso non avessero contatti con l’esterno. Il 41 bis é tortura. Nessunx può è deve essere privato della lettura. La lettura nobilita l’animo. I/le detenutx in stato di tortura sono 715. Attualmente il regime di 41 bis è usato soprattutto per i/le compagn* e per coloro che sono considerat* “irrecuperabili”. E’ indispensabile usare qualsiasi mezzo per far si che non esistano e i/le compagnx tornino in libertà. Per iniziare a distruggere le carceri bisogna portare al loro interno venti di speranza e solidarietà. Perciò scrivete ax compagnx detenutx. Scrivete tutto quello che vi passa per la mente ma fatelo. Ora prima di ora. I/le compagnx, che si trovano privi della libertà per motivi che riguardano tuttx, hanno bisogno di non sentirsi mai solx.
Sgretoliamo le mura ad una ad una.
Distruggere le barriere ora.
Liberi tutte e tutti subito.

Barbari – Senza una ragione

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“Oggi i barbarbi non si accampano più alle porte della Città. Si trovano già al suo interno, essendovi nati. Non esistono più le fredde terre del Nord o le brulle steppe dell’Est da cui fare partire le invasioni. Bisogna prendere atto che i barbari provengono dalle fila degli stessi sudditi imperiali. Come a dire che i barbari sono dappertutto. Per le orecchie abituate all’idioma della polis è facile riconoscerli perché si esprimono balbettando. Ma non bisogna lasciarci ingannare dal suono incomprensibile della loro voce, non bisogna confodere chi è senza una lingua con chi parla una lingua diversa. Molti barbari sono infatti privi di un linguaggio riconoscibile, resi analfabeti dalla soppressione della propria coscienza individuale — conseguenza dello sterminio del significato attuato dall’Impero. Se non si sa come dire, è perché non si sa cosa dire; e viceversa. E non si sa cosa e come dire perché tutto è stato banalizzato, ridotto a mero segno, ad apparenza. Considerato una delle maggiori sorgenti della rivolta, fonte irradiante di energia, nel corso degli ultimi decenni il significato è stato eroso da tutta una schiera di funzionari imperiali (ad esempio dalla scuola strutturalista francese tanto cara ai due emissari[1]) che lo hanno frantumato, polverizzato, sbriciolato in ogni ambito del sapere. Le idee che interpretano ed incitano all’azione trasformatrice sono state cancellate e rimpiazzate dalle opinioni che commentano e inchiodano alla contemplazione conservatrice. Laddove prima c’era una giungla piena di insidie perché selvaggia e rigogliosa, è stato fatto il deserto. E cosa dire, cosa fare in mezzo al deserto? Privi di parole con cui esprimere la rabbia per le sofferenze subite, privi di speranze con cui superare l’angoscia emozionale che devasta l’esistenza quotidiana, privi di desideri con cui contrastare la ragione istituzionale, privi di sogni a cui tendere per spazzare via la reiterazione dell’esistente, molti sudditi si imbarbariscono nei gesti. Una volta paralizzata la lingua, sono le mani a fremere per trovare sollievo alla frustrazione. Inibita nel manifestarsi, la pulsione alla gioia di vivere si capovolge nel suo contrario, nell’istinto di morte. La violenza esplode ed essendo senza significato si manifesta in maniera cieca e furiosa, contro tutto e tutti, travolgendo ogni rapporto sociale. Laddove non c’è una guerra civile in corso, ci sono i sassi lanciati dai cavalcavia oppure lo sterminio di parenti, amici o vicini. Non è una rivoluzione, non è nemmeno una rivolta, è una strage generalizzata compiuta da sudditi resi barbari dalle ferite quotidiane inflitte sulla propria pelle da un mondo senza senso perché a senso unico. Questa violenza cupa e disperata infastidisce l’Impero, turbato nella sua presunzione di garantire la pace dei sensi, ma non lo preoccupa. In sé, non fa altro che alimentare e giustificare la richiesta di maggior ordine pubblico. Eppure, per quanto facilmente recuperabile una volta affiorata in superficie, essa mostra tutta l’inquietudine che agita in profondità questa società, tutta la precarietà della presa imperiale sulle vicissitudini del mondo moderno. E tuttavia esistono anche altri barbari, di natura diversa. Barbari in quanto refrattari alle parole d’ordine, non certo in quanto privi di coscienza. Se il loro linguaggio risulta oscuro, noioso, balbettante è perché non coniuga all’infinito il Verbo imperiale. Sono tutti coloro che rifiutano deliberatamente di seguire l’itinerario istituzionale. Hanno altri sentieri da percorrere, altri mondi da scoprire, altre esistenze da vivere. Alla virtualità — intesa come finzione — della tecnologia che nasce in sterili laboratori, oppongono la virtualità — intesa come possibilità — delle aspirazioni che nascono nei battiti del cuore. Per dare forma e sostanza a queste aspirazioni, per trasformarle da virtuali in reali, devono strappare all’Impero con la forza il tempo e lo spazio necessari alla loro realizzazione. Devono, cioè, riuscire ad arrivare ad una rottura integrale con l’Impero. Anche questi barbari sono violenti. Ma la loro violenza non è cieca nei confronti di chi colpisce, quanto piuttosto nei confronti della ragione imperiale. Questi barbari non parlano e non capiscono la lingua della polis, né vogliono impararla. Non sanno cosa farsene della struttura sociale dell’Impero, della costituzione americana, degli attuali mezzi di produzione, dei documenti di riconoscimento o del salario sociale a cui tanto tengono i due emissari. Non hanno nulla da chiedere ai funzionari imperiali, non hanno nulla da offrire loro. La politica del compromesso è abortita in partenza, e non per un ridicolo processo ideologico, ma per una totale inadeguatezza a questo mondo. Sanno solo che per realizzare i propri desideri, quali che siano, devono prima togliere di mezzo gli ostacoli che incontrano sul proprio cammino. Non hanno tempo di chiedersi come mai «il capitalismo è miracolosamente ancora vivo e vegeto e la sua accumulazione è più gagliarda che mai», come si attardano comicamente a fare i due emissari, sconcertati che la storia si rifiuti di funzionare assecondando gli oliati meccanismi di una macchina. Il «mistero della longevità del capitale» non riesce ad appassionare questi barbari tanto quanto l’urgenza della sua morte. Per questo sono pronti a mettere a ferro e a fuoco le metropoli — con le loro banche, i loro centri commerciali, la loro urbanistica poliziesca — in qualsiasi momento, individualmente o collettivamente, alla luce del sole o nel buio della notte. Se non hanno un solo motivo per farlo, è perché li hanno tutti. Contrariamente ai sudditi scontenti che vorrebbero diventare sudditi contenti, a questi barbari non interessa la possibilità di un altro mondo. Preferiscono battersi perché pensano che un mondo altro sia possibile. Sanno che “un altro mondo” sarà come “un altro giorno”, la vuota e noiosa ripetizione di quello che lo ha preceduto. Ma un mondo altro è un mondo sconosciuto tutto da fantasticare, da creare, da esplorare. Essendo nati e cresciuti sotto il giogo imperiale, senza avere mai avuto la possibilità di sperimentare modi radicalmente diversi di vivere, non è possibile immaginare questo mondo altro se non in termini negativi, come un mondo senza denaro, senza legge, senza lavoro, senza tecnologia e senza tutti gli innumerevoli orrori prodotti dalla civiltà capitalista.”

Crisso/Odoteo – Barbari/ L’insorgenza disordinata.pdf

[1] Il testo fa riferimento ai due teorici Negri e Hardt

Sullo sgombero di Boreano

Ci giunge notizia dello sgombero e della distruzione delle baracche a Boreano tenutosi da ieri mattina ove risiedevano i migranti occupati nella raccolta stagionale del pomodoro. Tale sgombero portato avanti a colpa di ruspa – che va concretizzando il triste slogan salviniano e dei suoi beceri sostenitori – ha visto un ingente spiegamento delle forze dell’ordine e dell’esercito. L’operazione giunge proprio nel momento in cui la lotta dei lavoratori stagionali stava prendendo piede e giungendo alle orecchie dei più, lotta tesa a ricevere uno stipendio e un’abitazione che potesse garantirgli l’inizio di una vita un po’ più dignitosa. Crediamo che queste azioni da parte dell’amministrazione comunale non siano altro che la prosecuzione di politiche xenofobe e razziste, le quali impediscono ai lavoratori di vivere secondo i propri bisogni, ove da parte delle istituzioni l’unica risposta è la repressione; vista anche sotto il palazzo della Regione durante la manifestazione del 12 maggio con l’esagerato schieramento delle FO. Le stesse istituzioni che garantiscono ad ess* l’accoglienza per poi usarl* come mano d’opera a bassissimo costo e/o internarl* in strutture dove subiranno torture, percussioni e sevizie da parte della sbirraglia e dei medici, mostrando il vero volto dell’ “umana e solidale” Europa. Allora come oggi, manifestiamo tutta la nostra solidarietà e complicità, con la speranza di creare insieme forme di autorganizzazione dal basso tese a riappropriarci insieme delle nostre vite, contro il ricatto e il depauperamento economico ed esistenziale che subiamo quotidianamente. Quindi il 4 agosto scenderemo nuovamente con loro per le strade per opporci a tali politiche e sovvertire il clima da guerra tra poveri, che la sovrastruttura vorrebbe insediare tra i ceti meno abbienti creando percorsi solidali di resistenza.

20 luglio: il sangue dei/lle compagn* e lo Stato terrorista

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Il 20 luglio è una data segnata dal sangue, una giornata ove lo Stato in due occasioni ha mostrato il proprio volto più crudele ed infame, quello dell’assassino. Due eventi l’hanno tristemente segnata, che pur essendo lontani nel tempo e nello spazio sono legati dal medesimo tragico destino:

– 20 luglio 2001; Genova, dopo un corteo più volte represso da parte delle FO con mezzi cruenti come cariche violente e uso di armi chimiche, inebriate dall’odore del sangue le forze statali andarono alla ricerca di un morto. Nonostante la resistenza e i contrattacchi da parte dei/lle compagn*, tra cui Carlo Giuliani, la mano sbirresca sparò facendo cadere inerme il corpo di Carlo sull’asfalto.

– 20 luglio 2015: Suruc, Turchia. Durante una conferenza stampa della Federazione delle Associazioni dei Giovani Socialisti sulla repressione turca verso coloro che cercavano di portare solidarietà al Rojava (Suruc è il centro turco più vicino alla Siria), esplode una bomba facendo 32 morti mentre un’autobomba al confine con il cantone di Kobane fa altre vittime tra le forze di autodifesa curde YPG.

In entrambi i casi, la violenza statale ha cercato di sopprimere la minaccia di un movimento di rivolta collettivo, che poteva fungere da minaccia al proprio potere esercitando il dominio anche sui corpi dei/lle nostr* compagn* (basti vedere il massacro svoltosi nella scuola di Diaz o le conseguenti torture nel carcere di Bolzaneto). La guerra protratta dalla sovrastruttura dominante ai danni di qualunque individuo o collettività rivoluzionaria, non si arrestò allora, anzi fu solo l’inizio di una repressione più dura che qui in Italia come lì in Turchia non avrebbe portato che ad un inasprimento delle misure liberticide. Oggi c’è ancora chi paga con la propria libertà quelle giornate a Genova, come in Turchia e in Siria c’è chi ancora paga con la propria vita per difendere il progetto rivoluzionario del Rojava e del Bakur. Lo Stato non sta facendo altro che affinare le proprie armi per espandere il proprio dominio basato sul terrore (con la retorica del “nemico interno”), sulla morte, sull’impoverimento e sulla devastazione e tocca a noi creare la resistenza al suo avanzamento, coniando un nuovo linguaggio rivoluzionario e aprendo prospettive di vita rivoluzionarie creando un nuovo immaginario destinato a sovvertire quotidianamente il dominio che soffoca le nostre esistenze; imparando dal loro esempio che è la solidarietà a creare territori fertili per l’insurrezione. Perché rifuggendo la retorica movimentista che spesso si rende partecipe e complice del Potere attraverso la propria inerzia, siamo consapevoli che è nel solo campo della lotta, con i nomi dei/lle compagn* cadut* e arrestat* sul sentiero della libertà incisi sui nostri cuori portando con noi la stessa fiamma che ardeva in loro, che ess* non diventeranno meri martiri nell’iconografia rivoluzionaria venendo espropriati della propria individualità, bensì ess*, il loro esempio e i loro sogni vivranno in noi e nelle nostre lotte contro quella violenza che subiamo quotidianamente attraverso le istituzioni e i suoi tirapiedi.