Carlo Prato, La necessità di sapere nelle lotte sociali

“Ciò che dirò nel seguito di questo scritto, è quello che avrei voluto dire a viva voce, ma non sempre il motto volere è potere si può tradurre in atto. Io, per voi, mi chiamo ignoto e sconosciuto resto, anche se scrivo per voi, anche se vi comu­nico il mio pensiero e il mio sentimento. Sono un modestissimo cultore d’un’idea, non ho la sapienza enciclopedica che è dei genii.
Io tento migliorarmi intellettualmente per es­sere agguerrito nella lotta contro ogni genere d’op­pressione, per la libertà! Senza la libertà di ogni singolo, la libertà collettiva diviene una farsa, come oggi giorno, in cui il mostruoso simbolo di essa è confinato a domicilio coatto, sopra uno scoglio nella rada di New York, proprio di faccia all’er­gastolo d’immigrazione, dove s’ammucchiano tutti i cenci, tutte le miserie, e dove il libero pensiero — manco a farlo apposta — viene inquisito, per smentire solennemente le affermazioni liberali del­l’ultima evoluzione governativa, che nasconde le zanne della tirannide dietro la maschera repub­blicana.

Non sono un artefice della penna, ma ciò che sto per dirvi, ripeto, è l’espressione semplice e genuina del mio sentimento, senza pretese e alla buona. Si sa. Le scuole sono chiuse per i bambini, che non hanno riarso, finanziarie, ed io perdono volentieri i maestri che dopo avermi insegnato il sillabario, mi hanno fatto apprendere, invece di nozioni utili, tante altre cose nocive, di cui mi è costato fatica liberarmi. Oh quella credenza in un dio fantastico, quello spirito patriottico e tanti altri pregiudizi, quale cappa di piombo erano per me! Ma se noi, vittime dell’irrazionalità degli istrut­tori, possiamo loro perdonare, non possiamo invece perdonare a quegli altri nemici più odiosi, il dominatore, il governante, il prete,il capitalista, che ai bimbi poveri sottraggano i libri, il pane, i ve­stiti, il tetto e l’amore della mamma per gettarli ignoranti e deboli, alla fatica bestiale, del cui frutto continuano a nutrirsi a guisa di sciacalli! Vittima di questa situazione è il proletario; situazione di coloro che nascono poveri, perché gli altri, i ricchi, i fratelli lupi si sono appropriati, hanno rubato tutta la ricchezza sociale a comin­ciare dalla terra, le case e gli oggetti utili e ne­cessari e il sottoterra e il sopraterra. Dato, dico, ch’è così il principio della nostra situazione, la salvezza non bisogna chiederla che a noi stessi. Sarebbe ingenuità bella e buona lo sperare che i ricchi, i governanti che sono i nemici, che direttamente o indirettamente hanno spogliato i lavo­ratori, pensassero al benessere di quest’ultimi. Bi­sogna diffidare di loro anche quando si presentano col sorriso della beneficenza sulle labbra. Osser­vateli un po’ come agiscono e vi persuaderete. Se vi fanno lavorare è per prendersi la parte del leone, senza fare gran cosa; se v’affittano le case che avete costruite e vi vendono il pane che avete coltivato, è per levarvi il resto che v’hanno prima lavorando: se vi passano le scuole — bontà loro — lo fanno per insegnarvi ad ubbidire e rassegnarvi: ubbidire a Dio in cui loro non credono, ubbidire ai signori, alle leggi che essi hanno manipolate ed alla coscrizione militare per andare a versare il sangue in prò della patria e di chi se la mangia: rassegnarsi a lavorare e soffrire d’inedia e d’insulti per poi andare a godere il paradiso degl’imbecilli che vi prestano fede. Infine se, vi si mostrano filantropi, caritatevoli, li fanno per deridere la vostra miseria, e per divertirsi con le dame incipriate nelle famose feste di beneficenza. I signori, i governanti, cedono qualcosa di buono a mala voglia, solo quando si vedono minacciati seriamente e cedono il poco solamente in tema di perdere il molto che hanno acquistato col su­dore.. degli altri. Quindi, ripeto, lungi dall’aspettarsi alcunché, dai nostri nemici, la salvezza, deve dipendere da noi stessi.”

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Biografia: ” [Rocco Montesano] Nasce a Tricarico (MT) il 17 settembre 1873 da Pancrazio e Maria Oliva Porcellini, pubblicista. Frequentate le scuole elementari, “dimostrando ingegno non comune”, viene avviato dal padre al lavoro di contadino. Nel 1890 emigra negli USA dove diventa anarchico. É tra i redattori de «La Pasqua dei lavoratori» di New York (1° maggio 1898) e de «La Questione Sociale» di Paterson, che abbandona nel settembre 1899 seguendo Ciancabilla nella fondazione de «L’Aurora», di cui è uno dei collaboratori più a1ssidui. Cessate le pubblicazioni di questo giornale nel dicembre 1901, M. lascia la colonia anarchica di Spring Valley, dove risiedeva, per stabilirsi a New York. Vi trasporta anche la tipografia, già di proprietà del giornale, e dal maggio 1902 fa uscire «La Libertà», organo del “Club Indipedente”, uno dei due circoli anarchici di New York, fondato nel 1901, e di una decina di altri gruppi di vari Stati americani, a indirizzo antiorganizzatore. Dopo appena tre numeri deve sospendere le pubblicazioni a causa dell’onda lunga della repressione poliziesca seguita all’attentato Czolgosz al presidente Mac Kinley. Nel gennaio 1905, la tipografia Galimberti di Milano, editrice del giornale anarchico «Il Grido della Folla», gli stampa l’opuscolo La necessità del sapere nelle lotte sociali, scritto sotto lo pseudonimo Carlo Prato, frutto di una conferenza “che varie circostanze gli impedirono di tenere” a New York. M. si reca quindi a Chicago, nell’Illinois, da dove collabora alla rivista anarchica newyorkese «Il Novatore», diretta da Alfredo Consalvi e Masimo Rocca. Milita nel movimento anarchico e antifascista americano, risiedendo a Chicago, almeno fino al settembre 1935, dopo di che se ne perdono le tracce.”

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