Nicola Chiaromonte e la “terza via” libertaria

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Nell’epoca moderna, ci ritroviamo quotidianamente bombardati da un flusso inarrestabile di informazioni, che danno forma all’immaginario collettivo, derivante dalla Società dello Spettacolo, la quale forgia lo strumento par excellence del dominio: la neo-lingua. Attraverso essa prendono forma differenti narrazioni, tutte utili al proseguimento del dominio e al suo continuo sviluppo. Quindi la storiografia ufficiale non diviene altro che un’ode allo stesso potere, ove qualunque modo di vivere o soggetto che non rientri negli schemi normanti della società capitalista, viene confinato nel limbo dell’anti-storia ove come dannati marchiati dalla condanna divina (della Collettività e dello Stato) vengono etichettati come folli, fanatici, eretici e tutt’una serie d’epiteti volti a denigrare il proprio vissuto reso una rivolta permanente contro il sistema dominante. Tra questi vi è anche un uomo anarchico, lucano, dimenticato dalla sua terra, spesso sotterrato nel passato, relegato alla sua epoca o in altri casi reso partigiano e burattino delle fila di chi faceva uso della sua parola o dei suoi scritti per sostenere la propria causa; il suo nome è Nicola Chiaromonte. Se oggi tenteremo di ridargli quella luce che gli fu defraudata e daremo voce alla sua vita e alle sue parole, è per far sì che la nostra terra – la sua terra – riacquisisca quella forza e quella consapevolezza perduta, che riveda quanto sangue è stato versato sui sentieri che percorre quotidianamente, sangue di coloro che vissero l’avventura dell’esistenza opponendosi a qualsiasi ordine e che possa finalmente scuotersi da quelle catene che gravano sul suo corpo martoriato dai colpi dell’amara rassegnazione ricoperta con una melliflua superstizione (ove con essa intendiamo anche qualsiasi tipo di dottrinarismo e fideismo politico). Nicola Chiaromonte nasce in un piccolo centro del Vulture, Rapolla, il 12 luglio 1905 da famiglia borghese. Trascorse la propria adolescenza a Roma, ove si laureò in giurisprudenza. In questi anni simpatizzò per il “diciannovismo” a causa del suo forte senso antidemocratico, ma se ne distaccò subito approdando a posizioni marcatamente antifasciste. A causa di quest’ultima svolta politica, nel ’34 fu costretto a rifugiarsi a Parigi perché fu segnalato dalla sbirraglia fascista per atti terroristici avendo progettato l’assassinio di Mussolini. In terra francese fa la conoscenza di Andrea Caffi – attraverso il suo amico universitario Alberto Moravia – con il quale strinse un forte sodalizio e fu per lui un grande maestro. Insieme si unirono a Giustizia e Libertà, pur avendo sempre un atteggiamento distaccato e critico nei suoi confronti, vedendo in essa un ennesimo tentativo di ricostruzione della democrazia liberal-borghese. Caffi e Chiaromonte, tentarono di dare un diverso indirizzo a GL, infatti fu in questo periodo che Chiaromonte scrisse la sua critica al totalitarismo individuando le sue radici in ogni forma politica che vede come suo punto di riferimento lo Stato e il rifiuto dei partiti di massa, giungendo ad un connubio tra il primo e il soggetto-massa attraverso un forte militarismo statuale, la cultura di massa e il culto della violenza; così da sviluppare una concezione fortemente antistatale (criticando anche lo stesso concetto di Stato e la sua forma liberal-democratica) e a tratti individualista. Non a caso Chiaromonte nel suo Per un movimento internazionale e libertario afferma che GL più che antifascista, sarebbe dovuto diventare un movimento antitirannico e antistatale. La rottura con questi ambienti fu inevitabile. Dopo una breve parentesi nel Partito socialista in esilio, andò a combattere come volontario la guerra civile spagnola, unendosi all’Escuadrilla España di Malraux. Qui, la disfatta della rivoluzione lo segnò profondamente e il ruolo svolto dal PCI e dalle forze sovietiche per sabotarla, fecero crescere il suo anticomunismo. Una volta rientrato in Francia, a causa dell’invasione tedesca dovette subito fuggire prima in Algeria, ove diventò amico con Albert Camus – il quale ebbe molta importanza per lo sviluppo del suo pensiero – e poi negli Stati Uniti dove entrò in contatto con gli esuli antifascisti e conobbe Hannah Arendt e Dwight Macdonald. Con quest’ultimo e il suo inseparabile amico e maestro Caffi, lavorò alla rivista “Politics” al fianco d’importanti anarchici del tempo sia statunitensi che europei, come Paul Goodman e lo stesso Camus. Fu in questo periodo che Chiaromonte iniziò a sviluppare dalla lettura degli individualisti americani, di Proudhon, di Herzen e Tolstoj, la cosiddetta “secessione”. Con essa intendeva una via nonviolenta e gradualista rivoluzionaria, che attraverso la costituzione di “fratrie” (o gruppi di affinità) si iniziassero a sperimentare dal basso altri modi di vivere, riappropriandosi dei propri spazi e dando luogo a relazioni egualitarie e a comunità che potessero sovvertire lo status quo attraverso una “rivoluzione silenziosa”.
“Da questa società — da questo stato di cose — bisogna separarsi, compiere atto pieno di eresia. E separarsi tranquillamente, in silenzio e in segreto, non da soli ma in gruppi, in ‘società ’ autentiche le quali si creino una vita il più possibile indipendente e sensata, senza alcuna idea di falansterio o di colonia utopistica… Sarebbe una forma non retorica di contestazione globale”. Tali teorie furono più volte esposte dai teorici europei nei propri ambienti, ma queste vennero continuamente rifiutate mentre furono concretizzate da parte degli anarchici statunitensi con gli stessi Goodman e Macdonald durante le proteste del ’68. Chiaromonte fece ritorno in Italia solo alla fine della guerra, e nell’immediato dopoguerra con Silone fondò la rivista “Tempo presente” e fece il critico teatrale per L’Espresso. Durante l’ascesa dei movimenti studenteschi, entrò in polemica con essi, apprezzando sì la costituzione di un simile movimento rivoluzionario, ma evidenziando in esso i limiti dovuto al culto della violenza e dell’odio esaltato attraverso figure come il Che, Mao e Castro, vedendo in esso anche nient’altro che un ennesimo tentativo di una rivoluzione tesa ad appropriarsi del potere e quindi con il solo fine del cambiamento della classe dominante. Chiaromonte tentò sempre di spronarli attraverso i propri scritti ad osare e desiderare di più, invitandoli a seguire la sua linea nonviolenta attraverso la costruzione di una contro società libertaria che avrebbe dovuto riprendersi i propri spazi dal basso attraverso un vivere diverso, sbarazzandosi poi della società di massa e capitalista spiegando che per lui l’importante è “essere eretici, oggi, separati dalla massa, chiusi in cerchie ben definite e tenute insieme da idee e interessi comuni”; e aggiungendo che “il rapporto di queste cerchie o gruppi con la società ‘in genere’ e lo Stato dev’essere di distanza, di partecipazione minima, di scepsi e critica ma non di rivolta. Perché lo scopo di tali ‘fratrie’ è di ricostituire società giuste, anzi di ricostruire dalle fondamenta una società, sic et simpliciter. Tali ‘fratrie’ hanno quindi, per cominciare, il compito di stimolare la società a passare dalla politica intesa come realizzazione di un assoluto Bene alla morale come misura e limite dell’azione politica, nonché come distanza da mantenere continuamente fra l’idea di comportarsi con giustizia verso gli altri e l’azione politica come mezzo per la realizzazione di una giustizia obiettiva impossibile”. Quindi il mezzo per giungere a tale società non è la violenza bensì ”la prima cosa è dire ‘no’, e ritrovarsi con i pochi (inevitabilmente pochi) pronti a dire ‘no’ e a resistere; la seconda è cercare i modi della resistenza nella direzione del rifiuto d’obbedienza, della resistenza passiva, del sabotaggio silenzioso, e non sul terreno della violenza, sul quale si è certi di essere sconfitti; la terza, infine, è di non cercare il successo rapido e vistoso, ma sapersi ritirare nell’ombra e preparare lentamente il momento in cui, come diceva Proudhon, ‘le pietre si solleveranno da sole’”. Nicola Chiaromonte continuò a scrivere fin alla sua morte avvenuta nel ’72, sempre in continua coerenza con il proprio pensiero e continuando ad avere un atteggiamento distaccato e critico verso qualunque forma di organizzazione politica. Crediamo che la sua figura e soprattutto il suo pensiero, oggi possano essere semi fecondi per sperimentare forme innovative del vivere rivoluzionario. Chiaromonte inoltre con la sua critica allo statalismo, al nazionalismo, al liberalismo e al totalitarismo può essere molto utile nell’epoca in cui assistiamo all’ascesa dei nazionalismi e dei vari fascismi i quali danno vita a forme d’ideologia identarista contrastando ogni sorta di alterità. Ma egli offre anche buoni spunti a quello spettro che viene chiamato Movimento, il quale è ancora succube dei rimasugli borghesi della volontà di potenza, caratterizzato ancora dalla miseria del comunismo e del marxismo e da un forte attaccamento dottrinario e settarista ad esso. Chiaromonte, nonostante le divergenze di pensiero che possano esistere tra noi e lui, può insegnarci a sbarazzarci di tutti i fantasmi del determinismo, dello storicismo e di qualsiasi idealismo o schema precostituito che soffocano ancora gli individui e il vivere quotidiano, dando un nuovo senso a quest’ultimo usando come mezzo la politica vista come mezzo artistico nel quale – come nella concezione camussiana – prende ampio posto la creatività ludica del soggetto e la sua liberazione libidica attraverso essa, dando respiro anche alla parte più umana e naturale dell’individuo: quella fatta di sogni, desideri, bisogni ed utopie.