Barbari – Senza una ragione

Cole_Thomas_The_Course_of_Empire_Destruction_1836
“Oggi i barbarbi non si accampano più alle porte della Città. Si trovano già al suo interno, essendovi nati. Non esistono più le fredde terre del Nord o le brulle steppe dell’Est da cui fare partire le invasioni. Bisogna prendere atto che i barbari provengono dalle fila degli stessi sudditi imperiali. Come a dire che i barbari sono dappertutto. Per le orecchie abituate all’idioma della polis è facile riconoscerli perché si esprimono balbettando. Ma non bisogna lasciarci ingannare dal suono incomprensibile della loro voce, non bisogna confodere chi è senza una lingua con chi parla una lingua diversa. Molti barbari sono infatti privi di un linguaggio riconoscibile, resi analfabeti dalla soppressione della propria coscienza individuale — conseguenza dello sterminio del significato attuato dall’Impero. Se non si sa come dire, è perché non si sa cosa dire; e viceversa. E non si sa cosa e come dire perché tutto è stato banalizzato, ridotto a mero segno, ad apparenza. Considerato una delle maggiori sorgenti della rivolta, fonte irradiante di energia, nel corso degli ultimi decenni il significato è stato eroso da tutta una schiera di funzionari imperiali (ad esempio dalla scuola strutturalista francese tanto cara ai due emissari[1]) che lo hanno frantumato, polverizzato, sbriciolato in ogni ambito del sapere. Le idee che interpretano ed incitano all’azione trasformatrice sono state cancellate e rimpiazzate dalle opinioni che commentano e inchiodano alla contemplazione conservatrice. Laddove prima c’era una giungla piena di insidie perché selvaggia e rigogliosa, è stato fatto il deserto. E cosa dire, cosa fare in mezzo al deserto? Privi di parole con cui esprimere la rabbia per le sofferenze subite, privi di speranze con cui superare l’angoscia emozionale che devasta l’esistenza quotidiana, privi di desideri con cui contrastare la ragione istituzionale, privi di sogni a cui tendere per spazzare via la reiterazione dell’esistente, molti sudditi si imbarbariscono nei gesti. Una volta paralizzata la lingua, sono le mani a fremere per trovare sollievo alla frustrazione. Inibita nel manifestarsi, la pulsione alla gioia di vivere si capovolge nel suo contrario, nell’istinto di morte. La violenza esplode ed essendo senza significato si manifesta in maniera cieca e furiosa, contro tutto e tutti, travolgendo ogni rapporto sociale. Laddove non c’è una guerra civile in corso, ci sono i sassi lanciati dai cavalcavia oppure lo sterminio di parenti, amici o vicini. Non è una rivoluzione, non è nemmeno una rivolta, è una strage generalizzata compiuta da sudditi resi barbari dalle ferite quotidiane inflitte sulla propria pelle da un mondo senza senso perché a senso unico. Questa violenza cupa e disperata infastidisce l’Impero, turbato nella sua presunzione di garantire la pace dei sensi, ma non lo preoccupa. In sé, non fa altro che alimentare e giustificare la richiesta di maggior ordine pubblico. Eppure, per quanto facilmente recuperabile una volta affiorata in superficie, essa mostra tutta l’inquietudine che agita in profondità questa società, tutta la precarietà della presa imperiale sulle vicissitudini del mondo moderno. E tuttavia esistono anche altri barbari, di natura diversa. Barbari in quanto refrattari alle parole d’ordine, non certo in quanto privi di coscienza. Se il loro linguaggio risulta oscuro, noioso, balbettante è perché non coniuga all’infinito il Verbo imperiale. Sono tutti coloro che rifiutano deliberatamente di seguire l’itinerario istituzionale. Hanno altri sentieri da percorrere, altri mondi da scoprire, altre esistenze da vivere. Alla virtualità — intesa come finzione — della tecnologia che nasce in sterili laboratori, oppongono la virtualità — intesa come possibilità — delle aspirazioni che nascono nei battiti del cuore. Per dare forma e sostanza a queste aspirazioni, per trasformarle da virtuali in reali, devono strappare all’Impero con la forza il tempo e lo spazio necessari alla loro realizzazione. Devono, cioè, riuscire ad arrivare ad una rottura integrale con l’Impero. Anche questi barbari sono violenti. Ma la loro violenza non è cieca nei confronti di chi colpisce, quanto piuttosto nei confronti della ragione imperiale. Questi barbari non parlano e non capiscono la lingua della polis, né vogliono impararla. Non sanno cosa farsene della struttura sociale dell’Impero, della costituzione americana, degli attuali mezzi di produzione, dei documenti di riconoscimento o del salario sociale a cui tanto tengono i due emissari. Non hanno nulla da chiedere ai funzionari imperiali, non hanno nulla da offrire loro. La politica del compromesso è abortita in partenza, e non per un ridicolo processo ideologico, ma per una totale inadeguatezza a questo mondo. Sanno solo che per realizzare i propri desideri, quali che siano, devono prima togliere di mezzo gli ostacoli che incontrano sul proprio cammino. Non hanno tempo di chiedersi come mai «il capitalismo è miracolosamente ancora vivo e vegeto e la sua accumulazione è più gagliarda che mai», come si attardano comicamente a fare i due emissari, sconcertati che la storia si rifiuti di funzionare assecondando gli oliati meccanismi di una macchina. Il «mistero della longevità del capitale» non riesce ad appassionare questi barbari tanto quanto l’urgenza della sua morte. Per questo sono pronti a mettere a ferro e a fuoco le metropoli — con le loro banche, i loro centri commerciali, la loro urbanistica poliziesca — in qualsiasi momento, individualmente o collettivamente, alla luce del sole o nel buio della notte. Se non hanno un solo motivo per farlo, è perché li hanno tutti. Contrariamente ai sudditi scontenti che vorrebbero diventare sudditi contenti, a questi barbari non interessa la possibilità di un altro mondo. Preferiscono battersi perché pensano che un mondo altro sia possibile. Sanno che “un altro mondo” sarà come “un altro giorno”, la vuota e noiosa ripetizione di quello che lo ha preceduto. Ma un mondo altro è un mondo sconosciuto tutto da fantasticare, da creare, da esplorare. Essendo nati e cresciuti sotto il giogo imperiale, senza avere mai avuto la possibilità di sperimentare modi radicalmente diversi di vivere, non è possibile immaginare questo mondo altro se non in termini negativi, come un mondo senza denaro, senza legge, senza lavoro, senza tecnologia e senza tutti gli innumerevoli orrori prodotti dalla civiltà capitalista.”

Crisso/Odoteo – Barbari/ L’insorgenza disordinata.pdf

[1] Il testo fa riferimento ai due teorici Negri e Hardt