Il 20 luglio è una data segnata dal sangue, una giornata ove lo Stato in due occasioni ha mostrato il proprio volto più crudele ed infame, quello dell’assassino. Due eventi l’hanno tristemente segnata, che pur essendo lontani nel tempo e nello spazio sono legati dal medesimo tragico destino:
– 20 luglio 2001; Genova, dopo un corteo più volte represso da parte delle FO con mezzi cruenti come cariche violente e uso di armi chimiche, inebriate dall’odore del sangue le forze statali andarono alla ricerca di un morto. Nonostante la resistenza e i contrattacchi da parte dei/lle compagn*, tra cui Carlo Giuliani, la mano sbirresca sparò facendo cadere inerme il corpo di Carlo sull’asfalto.
– 20 luglio 2015: Suruc, Turchia. Durante una conferenza stampa della Federazione delle Associazioni dei Giovani Socialisti sulla repressione turca verso coloro che cercavano di portare solidarietà al Rojava (Suruc è il centro turco più vicino alla Siria), esplode una bomba facendo 32 morti mentre un’autobomba al confine con il cantone di Kobane fa altre vittime tra le forze di autodifesa curde YPG.
In entrambi i casi, la violenza statale ha cercato di sopprimere la minaccia di un movimento di rivolta collettivo, che poteva fungere da minaccia al proprio potere esercitando il dominio anche sui corpi dei/lle nostr* compagn* (basti vedere il massacro svoltosi nella scuola di Diaz o le conseguenti torture nel carcere di Bolzaneto). La guerra protratta dalla sovrastruttura dominante ai danni di qualunque individuo o collettività rivoluzionaria, non si arrestò allora, anzi fu solo l’inizio di una repressione più dura che qui in Italia come lì in Turchia non avrebbe portato che ad un inasprimento delle misure liberticide. Oggi c’è ancora chi paga con la propria libertà quelle giornate a Genova, come in Turchia e in Siria c’è chi ancora paga con la propria vita per difendere il progetto rivoluzionario del Rojava e del Bakur. Lo Stato non sta facendo altro che affinare le proprie armi per espandere il proprio dominio basato sul terrore (con la retorica del “nemico interno”), sulla morte, sull’impoverimento e sulla devastazione e tocca a noi creare la resistenza al suo avanzamento, coniando un nuovo linguaggio rivoluzionario e aprendo prospettive di vita rivoluzionarie creando un nuovo immaginario destinato a sovvertire quotidianamente il dominio che soffoca le nostre esistenze; imparando dal loro esempio che è la solidarietà a creare territori fertili per l’insurrezione. Perché rifuggendo la retorica movimentista che spesso si rende partecipe e complice del Potere attraverso la propria inerzia, siamo consapevoli che è nel solo campo della lotta, con i nomi dei/lle compagn* cadut* e arrestat* sul sentiero della libertà incisi sui nostri cuori portando con noi la stessa fiamma che ardeva in loro, che ess* non diventeranno meri martiri nell’iconografia rivoluzionaria venendo espropriati della propria individualità, bensì ess*, il loro esempio e i loro sogni vivranno in noi e nelle nostre lotte contro quella violenza che subiamo quotidianamente attraverso le istituzioni e i suoi tirapiedi.