31.05.2016 S. Gerardo protettore della tradizione e dell’etero-patriarcato

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N.B. L’immagine sopra è un détournement che vuole soltanto ironizzare sull’appropriazione di figure storiche da parte dei novelli fascisti, quindi non ha il fine di offendere il credo di nessuno (almeno stavolta)

Anche quest’anno dal 29 al 30 maggio, si è tenuta a Potenza la festa patronale di S.Gerardo. Come ogni anno, sterili polemiche si rincorrono quando il boato dei fuochi d’artificio si placa e un sinistro vociare prende il loro posto. Certo è che tutti ne approfittano per dar sfogo al loro qualunquismo, al loro gretto populismo, criticando l’amministrazione, il comitato feste e compagnia bella. Eppure tra tutto questo fragore di voci, un coro più sinistro si fa sempre più spazio: come un ronzio insistente, che fa capolino dai luoghi più reconditi della storia si sente l’eco della voce della violenza, dell’odio, del tradizionalismo, della virilità, insomma la voce dell’idiozia prestatosi alla politica da accattonaggio, il vecchio spettro del fascismo. Infatti ogni anno continuiamo a vederli sfilare nella parata dedicata al santo, portatori della statua, fidi tirapiedi dello Stato e del potere ecclesiastico. Il loro ruolo nella festività rappresenta alla perfezione il connubio venutosi a creare tra gli ambienti istituzionali (laici e non) e quell’area catto-fascista che armata di spugnette e scope, lustrano il loro idolo in segno di sottomessa volontà. Non a caso questi esseri goffi hanno eletto a loro idolo il protettore della città potentina, infatti essi stessi ne danno una descrizione nel loro ultimo volantino, ove tra un miscuglio di mitopoiesi, tradizionalismo e superstizione si spiega che il fervente S. Gerardo, scacciò dalla città suddetta la comunità catara (comunità descritta nei modi più parodiali), spintosi fin lì per far proseliti. Nel ritratto non molto simpatico del santo offertoci da questi novelli adepti, vediamo incarnato lo spirito dell’autorità divina e umana, il pensiero unico, la violenza, l’esclusione del soggetto diverso contrapposto al modello di virilità patriarcale e alla moralità cristiana. Ciò è evidente soprattutto nella rappresentazione dei catari,- ove secondo i nostri ferventi storici furono una comunità di anarco-pacifisti – i quali in tal caso rappresentano la “diversità”, la rottura con l’esistente e il seme utopico innaffiato dalle prime comunità millenariste nei cuori dei più poveri e degli oppressi, che dalla rilettura del Vangelo trovarono la motivazione per rivoltarsi, divenendo quindi una minaccia al mondo esistente e al potere dominante. Oggi quindi nella scarsità di modelli alternativi all’esistente (dovuta perlopiù ad una diffusa ignoranza sulla storia passata delle proprie terre e di coloro che la animarono in senso rivoluzionario), mentre la controparte sinistrorsa dopo un secolo e mezzo di socialismo si diletta ancora sulla scelta tra il fucile o la scheda bianca per combattere l’oppressore, l’unico gruppuscolo che tende l’amo usando come esca l’esistente velato da un senso di ribellismo, sono proprio coloro che dal Potere ne traggono giovamento e in esso vi trovano una tana sicura. Nel frattempo noi barcollanti tra le ombre della notte della ragione, tentiamo ancora di distruggere il presente, con un tocco di melanconica ironia e un sardonico sorriso che attraversa i nostri volti, brindando all’iconoclastia e alla morte di ogni idolo. Noi, cani randagi senza Dio, né santi, né fede, né padroni, ebbri della follia che ci circonda, strattoniamo i nostri corpi alla ricerca di un momento d’Anarchia.